rigenerazione urbana sostenibile

Quando la rigenerazione urbana sostenibile viene dal basso

La rigenerazione urbana oggi è molto di moda. Viene citata ed utilizzata come elemento di ricostruzione del futuro, e molto spesso a sproposito.

Ma cosa è la rigenerazione urbana?

Se partiamo da Wikipedia scoprima che nell’ampia definizione che viene data una risulta, a nostro avviso, davvero significativa: “rimedio al degrado urbano“, dove per degrado urbano noi intendiamo quello architettonico, civico, culturale, sociale, ambientale…..

Un tema quindi molto ampio e complesso perché non basta modificare il piano del traffico o riqualificare alcuni stabili per poter parlare di rigenerazione urbana sostenibile. Ci vuoe un’idea di città, un’idea di civismo, ma soprattutto ci vuole un’idea di comunità su cui lavorare per coinvolgere la società. Ci vuole una visione di futuro e la voglia di lavorare per realizzarla, non conta quanto difficile e complessa sia.

La rigenerazione urbana sostenibile non può essere un elemento a se stante quindi, ma deve essere inserita in un più ampio ed organico progetto di rigenerazione territoriale, dove tutto viene messo a sistema in un percorso strutturato, pianificato e con, dicevamo, visione di futuro.

Siamo partiti, come nostro solito, cercando esperienze che potessero farci riflettere su questi temi e, da qui, provare ad interrogarci su come e cosa può essere oggi un processo di rigenerazione territoriale che permetta di costruire un modello sociale funzionale e sostenibile che tenga legato tutto.

Ma andiamo con ordine.

Quando si parla di rigenerazione territoriale troppo spesso ci si concentra sugli aspetti architettonici, edilizi, urbanistici, paesaggistici….

La rigenerazione territoriale invece dovrebbe essere, a nostro avviso, un processo pre-creativo e cioè un processo che viene prima della progettazione. Per citare Maurizio Goetz crediamo che oggi siano necessari modelli immaginativi che permettano di modellizzare scenari sconosciuti e soluzioni out of the box.

La progettazione partecipata, elemento spesso strutturale della rigenerazione urbana, è un processo di stimolo della creatività. I processi creativi si basano  sull’analisi di problemi riconosciuti e condivisi ed applicano ad essi strumenti di intelligenza collettiva per cercare soluzioni.

Oggi viviamo accelerazioni così forti, vuoi per il Covid vuoi per le tante crisi ambientali sociale ed economiche che mettono alle corde le nostre certezze, che basarsi sui soliti strumenti non è più utile e funzionale. Ecco allora che l’immaginazione ed i modelli di pensiero immaginativo divengono elementi fondamentali.

Bisogna lavorare sulla rigenerazione urbana sostenibile creando scenari nuovi e inesistenti, immaginando mondi e soluzioni a problemi che non esistono. Solo così potremo trovare strade che oggi non vediamo e che domani rischiamo di non riuscire a prendere perché non le abbiamo viste passare.

Per fare ciò però ci vogliono innanzitutto amministratori locali con una visione, servirebbe che gli stessi avessero coraggio e competenze. Un tema molto complesso del quale ne abbiamo parlato con Chiara Boriosi in un’interessante puntata di #PleaseOnStage e che lascia poche speranze al futuro immediato.

Non abbiamo parlato con Chiara di rigenerazione urbana, ma di tutti quei temi politici e pre-politici che dovrebbero caratterizzare la vita sociale del nostro paese.

Please on Stage - Innovatori a confronto

Please on stage è un evento aperto, un percorso di dialoghi con innovatori. Ospitiamo ogni martedì alle 18.00 un innovatore e parliamo di quello che è per lui l’innovazione, di come ha sviluppato il suo percorso e di come poter diffondere i concetti dell’innovazione aperta.

Ci poniamo domande e cerchiamo di comprendere le lezioni che ognuno di noi nel suo lavoro ogni giorno apprende. Un modo per imparare in maniera condivisa.

Se conosci un innovatore, se sei un innovatore, se vuoi scoprire come lavorano gli innovatori seguici. Ogni martedì alle 18.00.

La Napoli sotterranea

Riscoprire la storia

Recuperare gli spazi

Offrire opportunità

La Napoli sotterranea

La prima persona che abbiamo incontrato per comprendere come la rigenerazione urbana sostenibile possa essere elemento di sviluppo è stato Gianluca Nappa, uno dei soci dell’associazione LAES (La Napoli Sotterranea).

La loro storia è tanto semplice quanto importante. A seguito di un incendio che non si riusciva a spegnere riemerge dalla memoria l’esistenza di una Napoli sotterranea utilizzata durante la seconda guerra mondiale per ripararsi dai bombardamenti.

Questo ricordo diviene elemento di ricerca e ri-scoperta di un mondo dimenticato più per autodifesa che per il naturale trascorrere del tempo.

Rigenerazione urbana sostenibile a Napoli

Chi durante la seconda guerra mondiale è stato costretto a nascondersi in quei cunicoli per mesi, ad almeno 40 metri sotto il livello di calpestio, ha preferito relegare quelle memorie nell’oblio. La durezza e la difficoltà di quei mesi è stata dimenticata per sostenere la voglia di futuro.

Dopo quasi 60 anni però quei ricordi riemergono a causa di un evento fortuito, come ci racconta Gianluca Nappa, ed ecco allora che tra i ragazzi di allora spunta il desiderio di ritornare a quei momenti e scoprire cosa ha permesso loro di essere oggi qui tra noi.

Pian piano alcuni cittadini iniziano a scavare e a riscoprire una città letteralmente sommersa. Ne riscoprono la storia, ne ricercano le tracce, rivanno indietro nel tempo in una ricerca che oggi è solo all’inizio.

Ma la bellezza di questo e dei tanti altri progetti intorno alla ricerca di far riemenrgere le decine e decine di chilometri di tunnel ancora sconosciuti, è legata più all’idea finale che a quella iniziale.

Riscoprire la Napoli sotterranea non è un fine, ma è uno strumento per raggiungere un fine più alto ed importante e cioè ridare a Napoli un patrimonio unico nel suo genere ed una consapevolezza della sua storia e della sua essenza: l’arte di arrangiarsi che diviene elemento sociale di adattamento alle difficoltà, quello che oggi viene chiamato “resilienza“.

Studiare e riscoprire le caverne, i cunicoli, gli adattamenti ad una vita difficile e complessa, ma pur sempre vita, diviene quindi studio dei modelli di resilienza di un popolo intero. Ma scava anche nell’animo umano alla ricerca delle motivazioni di un oblio durato quasi 60 anni e di quei modelli psicologici che hanno permesso a migliaia di persone di convivere per mesi in cunicoli, al freddo, sotto terra.

Modelli psicologici oggi fondamentali per comprendere ed affrontare le problematiche personali e sociali da lockdown e Covid19.

Questo progetto ci ha insegnato come troppe volte, in questo paese, non siamo in grado di leggere le vere motivazioni per cui siamo una delle prime economie mondiali nonostante siamo un piccolo puntino nel planisfero. Abbiamo una capacità resiliente di innovazione che è unica forse al mondo. Trasformare le difficoltà in elementi di sviluppo e crescita è una delle nostre essenze.

Ecco che una prima spiegazione di come possiamo sviluppare esempi di rigenerazione urbana è sotto gli occhi. Partire dal riscoprire quello che si è stati e quello che si è oggi. Cercare di ripensare al modello di convivenza sociale che ci caratterizza spostando la lancetta dell’attenzione dalla lagna all’azione per disegnare quello che si vorrebbe essere domani.

La Napoli sotterranea diviene elemento di lavoro, sviluppo turistico dei vicoli malfamati di Napoli, offerta di riscatto sociale per ragazzi che scoprono che la loro terra, la loro cultura, la loro vita. La Napoli sotterranea diviene elemento di ricchezza sociale e culturale e opportunità di sviluppo e di futuro. Trovare la speranza del riscatto o dello sviluppo (se preferite) in quello che si ha, iniziando a guardarlo “semplicemente” con occhi differenti.

Non crediamo sia un caso se questo ed altri progetti che caratterizzano la rinascita di Napoli, nascono nei quartieri che un tempo erano tra i più malfamati e pericolosi. Oggi sono quartieri di una bellezza ed autenticità unica, territori che riescono e cercano di sviluppare un modello sociale ed economico nuovo e soprattutto loro.

Aree dove la rigenerazione urbana è sostenibile socialmente, ambientalmente, economicamente sta cercando di diventare modello di sviluppo ordinario.

Manu Manu Riforesta

Riscoprire la storia di un territorio

Recuperare le aree naturali

Offrire opportunità all’economia agricola

Manu Manu Riforesta

Il nostro secondo incontro è stato con Vito Lisi dell’associazione salentina Manu Manu Riforesta.

Abbiamo scoperto questa realtà quasi per caso grazie all’algoritmo di Facebook che ci ha proposto alcuni loro post. Venedo esattamente da quel territorio, non potevamo non approfondire e analizzare le loro attività. Ci si è aperto un mondo di esperienze sulla rigenerazione territoriale che siamo andati a scoprire e incontrare.

Manu Manu Riforesta è un’associazione che si pone l’obiettivo di una rigenerazione territoriale a fini ambientali, ma come al solito con fortissime ricadute anche economiche, culturali, sociali e Politiche (P maiuscola volutamente).

Rigenerazione territoriale sostenibile in basso Salento

Come nasce un progetto di rigenerazione territoriale sostenibile o di rigenerazione urbana? Spesso per caso.

Anche i questo caso la casualità gioca un fattore determinante, anche se il caso era atteso da decenni. Il nome dell’elemento scatenante è tristemente noto Xylella Fastidiosa.

Andiamo anche qui con ordine.

Siamo nel basso Salento, la zona compresa nel quadrilatero Maglie, Otranto, Gallipoli, Santa Maria di Leuca e che comprende i 15 comuni non bagnati dal mare. Quest’area è localmente nota come I Paduli.

Storicamente il Salento è stata terra di feudatari sopravvissuti fino all’unità d’Italia.

Quest’area fino al 1860 era una foresta appartenuta ad una famiglia nobile di Tricase: i Principi Gallone che la utilizzavano come loro territorio di caccia. Con l’unità d’Italia i principi devono restituire queste terre ai comuni esistenti. La foresta era utilizzata come pascolo, territorio di raccolta e coltivazione, attività prima a pagamento per i sudditi.

La foresta era chiamata Foresta del Belvedere, un grandissimo bosco con una biodiversità incredibile. I contadini in quel periodo abbattono la foresta e la sostituiscono con l’Olivo. Il grande errore che fanno è di piantumare solo una varietà di olivo per tutto il territorio. Sparisce quindi la biodiversità, sostituita da una sola immensa monocultura.

Un allevamento in batteria su grandissima scala, terreno fertile per la Xylella Fastidiosa, il batterio che ha ormai devastato ben oltre il 90% delle piante di olivo esistenti. Una devastazione economica, agronomica ed ambientale che è anche una tragedia culturale e sociale in quanto viene scardinato l’elemento unificante un intero territorio: sua maestà l’olivo (come lo definisce Vito Lisi).

L’associazione Manu Manu Riforesta si pone quindi l’obiettivo di ricostruire e ripiantumare quella foresta, ricreando la biodiversità e la cultura originaria in un percorso di riscoperta territoriale che supera la rigenerazione territoriale. Siamo quindi ben oltre la rigenerazione urbana sostenibile, siamo in realtà al ripensamento di un intero territorio.

L’associazione quindi si pone obiettivi fortemente Politici: ridare “salute naturalistica” ad un territorio oggi devastato, ricostruendone la sua biodiversità. Provano ad immaginare un modello economico nuovo e più sostenibile (anche economicamente) che si incentri su questa biodiversità, recuperando una cultura agricola più sostenibile ed attenta al futuro.

In poche parole Manu Manu Riforesta sta immaginando il Salento dei prossimi anni ponendosi l’obiettivo di ricostruire con paradigmi moderni quella che era un tempo la sua grande ricchezza: la biodiversità ambientale.

Chi conosce la storia di questa terra sa benissimo come essa sia già ed ancora oggi caratterizzata da una biodiversità culturale enorme e recuperarne le basi con una rigenerazione territoriale attenta potrà sicuramente offrire opportunità economiche oggi inimmaginalibi. Potrà offrire l’opportunità di slegare queste terre dal turismo mordi e fuggi che oggi sta offrendo ricchezza sena prospettiva.

Abbiamo già visto come la tragedia della Xylella stia stimolando anche imprenditori salentini a cercare strade più sostenibili alla rigenerazione territoriale e alla ricostruzione di un’agricoltura che ha fatto così tanto male a questa terra. Qui vediamo invece come un gruppo di cittadini consapevoli si fa carico volontariamente di un progetto che sarebbe enorme per la stessa regione.

Quando la rigenerazione urbana diviene futuro

Questi progetti hanno in comune la visione di futuro. Partono da un elemento casuale (l’incendo, la xylella) per riscoprire il passato, ma non si fermano alla ricerca o alla salvaguardia della memoria. Cercano invece in questo passato delle opportunità di futuro e di rigenerazione urbana.

In entrameb i casi vediamo come lo slancio verso l’innovazione parte da uno studio del passato e una sua ridefinizione in termini moderni. Vito Lisi lo dice esplicitamente: “non vogliamo costringere le persone a tornare al medioevo, vogliamo rigenerare un territorio che oggi ha bisogno di futuro e di prospettive. […] Il momento di agire era 20 anni fa, oggi è tardi“.

Quando i disastri arrivano è sempre tardi.

Quello che manca infatti è una pianificazione del futuro basata su modelli innovativi, siano essi immaginativi o creativi. Ma serve una pianificazione basata su una visione alta ed ampia. Ciò richiede un grande coraggio da parte del decisore politico perché impone una ammissione di impotenza (o almeno di finitezza).

Non sappiamo quale sarà il futuro. Possiamo immaginare degli scenari, ma solo uno di questi si realizzerà.

Immaginare scenari ci permette di prepararci ad affrontare al meglio quello che sarà il più probabile e strutturarci per affrontare la realtà. Senza una visione di futuro e senza la voglia di tracciare delle linee di sviluppo chiare e sostenibili non abbiamo possibilità di anticipare le crisi.

Se non anticipiamo le crisi possiamo solo affrontare i disastri e poi impegnarci nella rigenerazione urbana di ciò che resta.

Questi esempi dimostrano che siamo un popolo in grado di dare il meglio di sé nei momenti di crisi, ma il nostro territorio e la nostra società sono sempre meno in grado di affrontare le crisi che abbiamo di fronte. Abbiamo bisogno di processi di rigenerazione sostenibile proprio per consolidare la nostra capacità resiliente di affrontare le crisi e trasformarla più in capacità di costruzione che di ricostruzione.

Please on Stage - Innovatori a confronto

Please on stage è un evento aperto, un percorso di dialoghi con innovatori. Ospitiamo ogni martedì alle 18.00 un innovatore e parliamo di quello che è per lui l’innovazione, di come ha sviluppato il suo percorso e di come poter diffondere i concetti dell’innovazione aperta.

Ci poniamo domande e cerchiamo di comprendere le lezioni che ognuno di noi nel suo lavoro ogni giorno apprende. Un modo per imparare in maniera condivisa.

Se conosci un innovatore, se sei un innovatore, se vuoi scoprire come lavorano gli innovatori seguici. Ogni martedì alle 18.00.

La rigenerazione territoriale sostenibile come progettazione del futuro

Se quindi la rigenerazione urbana sostenibile e la rigenerazione territoriale possono divenire elementi di progettazione del futuro, abbiamo bisogno di decisori politici in grado di immaginare questo futuro e di condurci nella giusta direzione.

Senza di essi nulla si tiene e gli esempi di LAES e Manu Manu Riforesta rischiano di essere sempre e solo bellissimi esempi di resilienza nati dal basso, progetti di mera rigenerazione urbana e territoriale. Continuerà a mancare un’idea condivisa di futuro e di comunità.

In entrambe i casi lo “spirito imprenditoriale” è molto forte, cioè quel pragmatismo che permette di comprendere tempi, risorse e necessità e adoperarsi in quella direzione, ma di nuovo non basta. Abbiamo necessità di politici capaci di comprendere l’urgenza e di affrontarla con adeguate competenze.

Abbiamo necessità di figure che siano in grado di dare una visione di comunità e di costruire progetti per il bene comune. Siamo in una fase dove l’accelerazione delle crisi è tale per cui nessun progetto da solo può permetterci da far fronte alle grandi sfide del futuro. Serve una linea, serve la forza di definire il nostro Paese con un modello comunitario condiviso e serve lanciare una sfida alta e forte al futuro.

Se ne saremo capaci dipende solo da noi. Qui continuiamo a porci domande, ad altri le risposte.

Servirebbe Verità e Coraggio e io non vedo né l’una né l’altro.

Chiara Boriosi

No profit e fundraising, fare un piano di azione

Per attivare un buon progetto di fundraising per il no profit o il profit bisogna pensare prima di tutto che un piano efficace di fundraising, tale piano si deve basare su un importante obiettivo: fidelizzare la donazione.

Un processo casuale ed estemporaneo, o forse peggio con obiettivi di breve periodo e senza riscorse è destinato a fallire o raccogliere spicci. Per un vero progetto di fundaraising il fundraiser e la no profit devono costruire un vero e proprio piano strategico.

Riassumiamo alcuni dei punti chiave da prendere in considerazione.

 

Fissare un obiettivo sfidante per l’organizzazione no profit

L’importante è essere credibili. Ogni no profit raccoglie o dovrebbe raccogliere fondi per un progetto specifico e per un progetto legato ad uno specifico valore dell’organizzazione. Non concentrarsi su un elemento banale. Non basta chiedere fondi per sostenere le proprie attività. Un donatore, soprattutto se importante, vuole avere evidenza e chiarezza nell’uso dei fondi, ma vuole partecipare a qualcosa di importante.

Le organizzazioni no profit devono comprendere che il fundraising è una forma di investimento. Se è chiaro nel mondo profit lo è molto meno nel mondo no profit, dove il concetto stesso di investimento spesso è avulso dal modo di pensare dell’organizzazione.

 

La no profit deve imparare a comunicare

Costruire un brand, predisporre luoghi fisici (la sede) e luoghi virtuali (siti, social, altro) dove l’organizzazione sia visibile e coerentemente riconoscibile è essenziale. La comunicazione deve essere coerente e deve diffondere i contenuti ed i valori tipici di quell’organizzazione.

Si deve avere il coraggio di costruire piani di comunicazione strategica che abbiano la stessa valenza dei piani di marketing di un’impresa.

Un’altra attività chiave è quella di costruire la comunicazione interna e la condivisione degli obiettivi. Un’organizzazione no profit o un’impresa che riesce a coinvolgere i dipendenti o i volontari riesce al tempo stesso ad essere credibile ed efficace.

 

La no profit deve essere aperta

Utilizzare influencer e micro influencer come testimonial è di fondamentale importanza. Sia il volontario, il beneficiario delle azioni, un altro donatore o un cittadino qualunque dovrebbero essere coinvolti in questa azione è fondamentale. Non si può prescindere dal testimoniare la bontà e la qualità delle azioni.

Ci vuole la capacità di aprire le porte e di accettare al proprio interno l’ingresso di donatori importanti. È però importante ricordare che è una donazione come un’altra e la testimonianza di un influencer o di un volontario è un elemento di grande importanza in un piano di fundraising.

Si devono avere però anche i piedi per terra ben saldi nei porpri valori. La coerenza e la capacità di chiudere le porte a chi vorrebbe sfruttare il brand richiede coraggio, ma è un’azione da fare. La coerenza come elemento di forza e mantenimento di una linea e di un’immagine chiara legata ai valori fondativi è elemento fondamentale.

No profit, fundraising e Covid19

In questo periodo il Covid19 ha colpito e sta colpendo fortemente il no profit. Le attività delle organizzazioni no profit sono basate soprattutto sulle relazioni. In Italia la donazione è ancora più legata alla relazione personale che in altri Paesi. La carta di credito da noi ha ancora un uso residuale.

Ciò comporta che siamo in una fase in cui le tecniche classiche di fundraising sono in fortissima crisi. Senza aver strutturato una raccolta fondi online ad esempio oggi le risorse stanno crollando. Il futuro sarà molto difficile.

Sempre più quindi il fundraising per le no profit e le imprese deve passare da piani strutturati e strategici che abbiano una parte importante online.

D’altra parte però il Covid19 sta spingendo sempre più persone ad utilizzare gli strumenti di pagamento elettronici e quindi il futuro non è tutto nero, bisogna però investire ed intervenire oggi preparandosi al futuro.

Il tema dell’investimento è un tema facilmente e costantemente affrontato nel mondo del profi, continua ad essere è temuto e poco attuato dal mondo del no profit. Forse questo oggi è il limite più grande in questo settore.

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