Innovazione sociale e pubblica amministrazione: si può?
Questo articolo nasce da una riflessione a seguito dell’intervista che mi ha fatto Sergio Olivieri, presidente di Mantova Viva, proprio su come sia possibile legare innovazione sociale e pubblica amministrazione oggi. L’intervista nasce a monte di una giornata di riflessione che si è tenuta il 25 gennaio 2020 a Mantova.
Un dibattito pubblico in cui ci siamo confrontati su questi temi e su come l’innovazione sociale possa oggi fare la differenza a livello di sviluppo locale. Nelle pagine seguenti trascrivo la lunga intervista rilasciata a Sergio e le riflessioni scaturite. Ringrazio Mantova Viva per l’invito e per l’occasione di confronto che mi è stata offerta.
Innovazione Sociale e Pubblica Amministrazione
Una breve intervista a Mantova Uno. Riassumo in due minuti i temi del mio intervento.
Un pomeriggio una riflessione interessante ricca di spunti da approfondire. Credo che riflettere, oltre gli schieramenti partitici, sia quantomai necessario ed opportuno. Ovunque.
Perché innovazione sociale e pubblica amministrazione
Questi gli spunti di riflessione nati dal percorso di riflessione su “Innovazione sociale e pubblica amministrazione“:
- Ambiente come motore di nuovi modelli economici inclusivi
- Cultura e coesione sociale come elementi di sviluppo locale
- Economia e finanzia come strumenti per trovare risorse e ridurre sprechi e disfunzioni finanziarie
Il programma di Mantova Viva tocca tutti questi temi, seppur ancora a livello embrionale. Starà a loro riempirli di contenuti di qualità e trovare le persone in grado di dare gambe a questo percorso.
Nel mio piccolo, ho cercato di dare un contributo con questa giornata perché qualunque progetto politico, indipendentemente dagli schieramenti, possa portare innovazione sociale e pubblica amministrazione a convergere per il bene del territorio.
Cosa sta accadendo? In che direzione ci stiamo muovendo e perché secondo te?
Risposta: Il discorso è molto ampio e parte da lontano, forse addirittura dal 1989 quando cadde il muro di Berlino e degli anni che seguirono. Fino a quella data avevamo due blocchi valoriali, prima che politici ed economici. C’era chi era rosso e chi era bianco e si identificava in precisi valori etici. Dopo la caduta del muro di Berlino si è originata una crisi di valori originata dalla mancanza di punti di riferimenti chiari e semplici da comprendere.
Capitalismo contro comunismo. Semplici, immediati, chiari. O eri da una parte o dall’altra. Dopo si sono originati una pluralità di fenomeni culturali ed economici che hanno tutti lo stesso problema: la difficoltà di essere spiegati. Ciò ha generato una grande crisi valoriale nelle generazioni successive.

L’Europa che era nata come grande idea economica per resistere alle due grandi super-potenze entra in crisi e fatica a trasformarsi in elemento unificante altrettanto semplice e chiaro. Identificarsi come “altro” rispetto al comunismo ed al capitalismo sfrenato americano non ha costruito realmente un’identità del sé.
A questa grande crisi valoriale si aggiunge recentemente un avanzamento tecnologico che ha cambiato in maniera drastica il modo di fruire la cultura, l’informazione, la vita quotidiana. Non esiste più il grande soggetto produttore di contenuti (major televisive o grandi giornali ad esempio). Esiste una pluralità infinita di produttori di contenuti, tutti noi.
La velocità dell’evoluzione della tecnologia ci ha trasformati in bravi produttori di contenuti. Tutti o quasi sappiamo fare un post sui social e quel post teoricamente può essere letto da tutto il pianeta con estrema semplicità.
Pochissimi di noi invece conoscono il meccanismo di funzionamento degli algoritmi e di come questi aggregano l’informazione. Pochissimi di noi sanno gestire una social bubble, cioè il meccanismo per cui vediamo, sui social, prevalentemente post di un certo tipo.
La crisi dei valori europei e questa preponderanza ingestibile delle tecnologie nella nostra vita, hanno contribuito ad uno sconvolgimento culturale della nostra società. Tutto ciò che sembrava eterno pochi anni fa oggi è antico e vecchio. Ciò che sembrava essere il migliore strumento per trasformare il mondo in una grande comunità, sta invece rendendo sempre più il pianeta in un luogo di isolamento personale.
Tutti ci rendiamo conto di come grandi aziende multinazionali possono condizionare la vita di ognuno di noi rendendoci sempre più poveri, mentre loro si arricchiscono. Siamo passati dalla visione della sharing economy come di una panacea democratica, a renderci conto di come essa sia in realtà un altro modello economico estrattivo. Un modello economico, cioè, che porta la ricchezza nelle mani di pochi estraendola fisicamente da un luogo.
Questi meccanismi sono spesso difficili da leggere e comprendere, ma è molto semplice leggerne i risultati. Queste aziende impoveriscono sempre più le fasce medio basse. Fasce che hanno sempre meno strumenti per leggere queste modalità, ma si rendono ben conto dei risultati. Ciò provoca fortissima incertezza nel futuro e l’incertezza crea paura.
I dati economici mondiali sono sotto gli occhi di tutti. Chi ha capitali tende costantemente ad accrescerli. Il denaro crea denaro in maniera quasi ineluttabile. La rendita arricchisce più del lavoro.
Chi non ha capitali e vive di lavoro è sempre più povero. Ha sempre più difficoltà a creare ricchezza o addirittura ad uscire dalla povertà. Rendersi conto che un evento inatteso può portare improvvisamente alla povertà la gran parte delle famiglie italiane è un elemento che genera insicurezza e paura.
Ci sono poi figure, siano essi politici o imprenditori, che hanno interesse a stimolare la paura per gestire i loro interessi leciti o meno. Fomentare la paura ha un enorme vantaggio perché nell’immediato paga e paga molto con risultati enormi. Ha uno svantaggio invece enorme e capitale: la paura è incontrollabile e si autoalimenta. Non serve andare alla rivoluzione francese ed alla ghigliottina per ricordare cosa vuol dire fomentare la paura.
Innovazione sociale e pubblica amministrazione: l’unica via d’uscita
D: Ma a livello locale come si traduce tutto ciò, ed in particolare per le nuove generazioni, per i giovani, per il futuro cosa dobbiamo aspettarci? Si parla di start-up, di innovazione tecnologica che porta via lavoro, di ritorno all’agricoltura ed al tempo stesso di perdita di lavoro a causa delle tecnologie.
Frequentando molto gli ambienti dell’innovazione, cosa diresti ad un giovane? Come vedi l’evoluzione del lavoro e soprattutto cosa suggeriresti di fare in una città di provincia come Mantova per affrontare la crisi che ci dicono sia passata, ma noi continuiamo a sentire?
R: Uno dei grandi motori di questa paura di cui parlavamo è l’insicurezza lavorativa e la stabilità lavorativa. Negli anni ‘90 abbiamo spinto convinti che la flessibilità fosse la panacea per il mercato del lavoro. La flessibilità è un elemento fondamentale per chi ha elevate competenze ed è in grado di spenderle. Per gli altri diviene un’autostrada verso la marginalità.
Se scendiamo a livello locale è fondamentale che chi si candida ad amministrare una città sia in grado di leggere prima di tutto le grandi sfide: la sfida culturale, la sfida tecnologica e la sfida ambientale. Queste sfide si vincono solo se innovazione sociale e pubblica amministrazione divengono elementi sinergici.
Queste tre sfide possono creare molto più lavoro di quanto il mercato ne brucia. Ma questo lavoro deve essere qualificato. Un operaio che è in linea può e deve essere quanto prima sostituito da un robot anche per la sua salute e per la sua qualità della vita. Ma una parte degli operai potranno essere riassorbiti come manutentori di quelle macchina.
Un’altra parte di questi operai potrà essere riassorbita da altri settori che invece vedono crescite molto importanti. Tutti i settori in cui l’uomo è insostituibile, dove la relazione tra esseri umani è insostituibile. Il sociale, la tutela dell’ambiente, la cultura ed il turismo sono tutti settori trainante dove innovazione sociale e pubblica amministrazione possono combattere e vincere facilmente la sfida dell’innovazione futura.
Ma dobbiamo avere il coraggio e la forza di farlo e farlo prima che accada l’irreparabile. A 50 anni abbiamo ancora molta della nostra vita davanti e ripensare il futuro è possibile, anzi è doveroso.
Ai giovani, dopo averli incoraggiati a studiare, poi a studiare ed ancora a studiare, direi di guardare con attenzione a dove va il mondo. I temi della cultura, della produzione di cibo di qualità, della tutela dell’ambiente, della salute e del tempo libero sono quelli che avranno sbocchi nei prossimi anni e li hanno già oggi.
Se guardiamo alle startup che hanno maggiore successo in Italia, vediamo che tutto ciò che semplifica la vita quotidiana, che tutela l’ambiente e che permette di facilitare la fruizione della cultura sono i settori di maggiore successo.
Un altro grandissimo settore è quello della raccolta ed analisi di dati. Produciamo in pochi anni più dati di quanti ne abbiamo prodotti nel corso dell’intera evoluzione umana. Il problema oggi è utilizzare questi dati in maniera democratica e a vantaggio delle persone. Innovazione sociale e pubblica amministrazione in questo possono fare molto mettendo a disposizione di tutti i dati.
Mi si chiede che università consiglierei ad un giovane. La prima risposta è: nessuna. Fate quello che vi appassiona di più. Non sappiamo cosa sarà il futuro.
La seconda risposta è duplice: son tutti bravi a consigliare ingegneria ed i lavori tecnici sono fondamentali. Ma oggi servono anche filosofi per affrontare le grandi sfide dell’intelligenza artificiale, della pre-morte, dell’allungamento della vita. Servono sociologi e statistici per aiutare gli ingegneri ad interpretare i dati.
Servono letterati e linguisti. Insomma non disdegnate le materie letterarie. Avranno un grande futuro. Ma alla fine l’unico vero consiglio, quello che davvero potrebbe portarvi al successo, a mio avviso, è: studiate sempre, costantemente, con avidità.